Apro una lettera. In missione ne arrivano tante, specialmente nei luoghi dispersi e lontani dalle città e così le missioni diventano come centri postali e i missionari sono i postini e i francobolli di tanto commercio epistolare.
La lettera è scritta da un giovane che ho aiutato a iscriversi a scuola. Gli mancavano i cinque euro della tassa scolastica. Passano due mesi da quando ha ripreso a frequentare le lezioni. Apro dunque la lettera: mi informa dell’andamento scolastico, del liceo nel quale alloggia e dove gli viene offerto da mangiare (il tutto per cinque euro). Ad un certo punto della lettera mi scrive: “Caro padre, nonostante le mille difficoltà, soprattutto di salute, il Signore mi è vicino e mi ha mostrato il suo volto. E il volto di Dio è il vostro volto, caro padre”. Mi viene da sobbalzare sulla sedia, leggendo queste ultime parole. Mi sembra uno sproposito. Ma in cappella, subito dopo, durante la preghiera, comprendo che quell’espressione non può che essere vera: il volto di Dio si serve del nostro volto per mostrarsi. E come potrebbe diversamente? A noi che siamo sua immagine ha voluto affidare il compito di renderlo visibile per le strade del mondo, davanti agli occhi di uomini e donne.
Questo episodio mi è tornato in mente leggendo una splendida frase di sant’Agostino – “chi vede la carità, vede la Trinità” – come a dire: la carità non è altro che la concretezza visibile dell’Amore che è Dio. Guardando perciò chi fa la carità, si vede Dio.
Ancor più degli occhi, la carità investe il tatto. La carità è il tatto di Dio. Gesù ha toccato le miserie umane nella sua vita terrena. E le ha trasformate in vita. Sempre, il tatto di Dio trasforma ciò che tocca. Il lebbroso toccato è risanato, il morto risuscitato, il cieco comincia a vedere, il sordo ad udire. Tocca e si lascia toccare. E il risultato è lo stesso: l’emorroissa dopo aver toccato la veste di Gesù si ritrova guarita. Ma prima di tutto, Gesù ha toccato la nostra natura umana, rivestendosi della nostra carne. E questa, da lui toccata, è stata per sempre trasformata, per sempre abitata dalla carità di Dio. Chi vede la carità dunque non solo vede Dio, ma lo tocca e lo rende tangibile. Le mani immerse nella carità offrono il tatto di Dio. In un certo senso le mani della carità sono le stesse mani di Dio che non cessano mai di operare il bene, di trasformare il mondo. Mani divine che si servono delle povere mani umane, che s’intrecciano continuamente con la fragilità delle nostre mani. in questo contatto si sente il calore di Dio.
Nella missione dove mi trovo, nel cuore dell’Africa, tutti vogliono dare la mano ai missionari. Tutti sanno che sono povere mani quelle che vedono. Ma sanno anche di toccare, intrecciate alla fragilità, le mani stesse di Dio. Chi vede la carità, tocca Dio. Così toccato e trasformato, il missionario accoglie appieno l’invito di Gesù: “Andate e invitate al banchetto tutti” (cfr Mt 22,9), parole che Papa Francesco ha voluto mettere come titolo del suo Messaggio per la recente Giornata missionaria.
fr. Massimo Tedoldi