Giovani cristiani e musulmani insieme
Il linguaggio comune riporta spesso la poca considerazione che noi anziani nutriamo verso le giovani generazioni.
Poiché nei mesi della scorsa estate ho avuto la fortuna di “andare a scuola” da un gruppo di giovani che abbiamo ospitato in convento, sento la necessità di condividere con voi, alcuni spezzoni delle interviste che ho raccolto nel momento in cui ci siamo congedati.
Il gruppo che noi frati abbiamo ospitato era costituito da una quindicina di giovani, ragazzi e ragazze, per metà cattolici e per metà musulmani. Hanno trascorso tre giorni in mezzo a noi impegnandosi nel seguire lezioni, in percorsi condivisione ed implicito ascolto; momenti conviviali fraterni e momenti di preghiera propri di ogni gruppo religioso ma con la presenza dell’altra parte.
Cristina, religiosa delle “Discepole del Vangelo” (Istituto religioso di recente fondazione che si rifà alla spiritualità di Charles de Foucauld): L’ho sentito come un invito a qualcosa a cui tengo molto: l’amicizia verso tutti, in particolare verso i musulmani. Dobbiamo uscire, in quanto cristiani, dobbiamo uscire versi di loro. Charles de Foucauld, a cui il mio Istituto si ispira, scrive nelle sue memorie che fu guardando a loro (al loro modo di pregare) che decise di fare un passo verso un qualcuno, un qualcosa di più grande ti quanto fatto fino a quel momento della sua vita. Spero di continuare questo tipo di incontri.
Azzedin (nato in Marocco, dai tre anni di età in Italia, appartiene alla Associazione Giovani Musulmani Italiani): Noi immigrati di II° generazione conosciamo già la vostra cultura, quella nella quale siamo cresciuti. Voi di fatto siete già il nostro paese, ma sentiamo la necessità di approfondire la nostra conoscenza, in particolare dal punto di vista religioso. Mi chiedo quale background potrò passare ai miei figli, come creare un legame più profondo e più duraturo con il paese che ci ha accolti. Penso che il dialogo culturale e soprattutto religioso sia quello che può unire noi della II° generazione ai nostri coetanei, l’Associazione GMI lo ritiene importante ed io lo sento molto forte. Che questo incontro possa essere solo l’inizio; penso di continuare, oggi è stato il momento della partenza.
Anna di Mestre, fa parte della fraternità islamico cristiana di Marghera: Sono venuta per continuare a realizzare quel sogno iniziato due anni fa in Piemonte a Bose. I monaci, nel congedarci alla fine di quell’incontro, ci diedero il mandato di costruire una vera rete di relazioni. Ho di nuovo sentito che un’esperienza come questa non può essere nata per caso, ma che sotto ci sia un’intenzione di fare fratellanza: un’intenzione del Creatore e poi di noi uomini, cristiani e musulmani. Anche il luogo ci ha aiutato: avevo sentito dire che il vostro convento fosse accogliente e di spiritualità. S. Francesco, uomo di dialogo, non ci ha deluso. Il vostro si è dimostrato il luogo adatto per questi incontri.
Don Gian Luca: In occasione di questo incontro si sono incontrate diverse “provvidenze”: di Dio e degli uomini, tra questi la vostra accoglienza, la Fraternità islamico cristiana di Marghera, varie persone che sono venute dando un loro contributo o come semplici partecipanti. Mi piace soffermarmi sul quel “maestro interiore” che in particolare nei momenti di preghiera ci ha accompagnati, facendo sì che tutti ne facessimo esperienza. I momenti di preghiera: nell’assistere vicendevolmente alla preghiera dell’altro si è sperimentato come uno spazio di comunione sia possibile.
Dopo questa esperienza l’amicizia continua nello scambio di messaggi in un gruppo WhatsApp in cui vengono spediti inviti a partecipare a nuovi momenti di dialogo e per programmare incontri con l’auspicio che anche altre persone possano prenderne parte. Da parte mia, anziano come sono, riconosco il timore che ho verso il dialogo interreligioso pensando che nasconda dietro l’angolo la possibile perdita della mia identità. Ascoltandoli ho iniziato a pensare e mi sono riconosciuto in una frase che noi cristiani dovremmo tenere presente: «Il dialogo non è perdita di identità, chi lo pensa è adolescente o decrepito, il dialogo rafforza le identità»
fr. Guido Ravaglia