Sono sicuro che molte volte avete sentito, oppure letto Giornata di animazione Missionaria.
Sapete in cosa consiste? Io lo dividerei in due movimenti. Il primo è di scendere in profondità in noi stessi, un’operazione resa difficile dal nostro mondo che tenta in ogni modo di buttarci fuori, facendoci divenire facile preda delle mille distrazioni che popolano le nostre città e paesi, ma anche le nostre case, attraverso gli strumenti di comunicazione sempre più raffinati. Si tratta di rivisitare la nostra vocazione cristiana, il battesimo che abbiamo ricevuto. Di riappropriarci della nostra chiamata e della missione affidataci dal Signore quando ci ha pensati e creati. Vocazione e missione sono un tutt’uno e in continuo divenire: possono accrescersi come anche affievolirsi, col rischio di uno “sbattezzo” pratico. Tale operazione di presa di contatto con le nostre origini profonde è quanto mai urgente oggi, pena la consegna della nostra vita a una superficialità mutevole e insignificante. Il recupero delle radici favorisce la sanità dell’albero, il suo ricco fogliame, i fiori e i frutti. Siamo consanguinei di Dio, ne respiriamo l’intima vicinanza. Inseriti come tralci alla vera vite che è Cristo, sentiamo scorrere la sua stessa linfa: la sua Parola di luce e il suo Corpo come alimento per irrobustire di continuo la nostra flebile muscolatura spirituale. Fatti a sua immagine, portiamo in noi, come cucito addosso, lo stesso dinamismo dell’amore, la sua logica paradossale e liberante. Scopriamo così di essere nativamente missionari, desiderosi di uscire dal proprio egoismo per farci incontro agli altri. In fondo, il primo metro percorso dalla missionarietà è quello che mi separa dal prossimo, dal mio vicino; varcato questo metro, siamo poi in grado di andare lontano migliaia di chilometri. Questo primo movimento – della Giornata di animazione missionaria – è lo stupito accorgersi che il nostro cuore è un tabernacolo che custodisce la presenza del Signore. Anche senza parlare, allora, siamo missionari, perché portiamo in noi il Signore, che si può vedere dalla luce che esce dai nostri occhi, lo si percepisce dalle nostre parole e dai nostri gesti. Missionari perché tabernacoli del Signore risorto che vive in noi. Il secondo movimento è di guardare fuori e lontano. La gioia del Signore non si può trattenere, spinge per essere condivisa. È la logica dell’amore che non può stare né fermo né zitto. Su questa logica i missionari hanno fondato la loro scelta e la loro vita. Portando il Signore, l’annuncio del suo Vangelo, essi portano ovunque spazi di Paradiso. Portano il Verbo fatto carne. Praticano la legge dell’incarnazione: da quando Gesù si è fatto carne, ogni parola esige la concretezza della carne. Ecco perché il Vangelo, in questi duemila anni, si è sempre incarnato in cibo, acqua, vestiti, medicine, scuole… Perché, allora, non dare una mano a quest’opera meravigliosa che in qualche modo riproduce l’incarnazione di Gesù? Perché non collaborare a questa fantasia di carità nel cercare i tanti Gesù bambini che nascono nelle stalle del rifiuto e della miseria? E cercare ancora i “poveri cristi” che soffrono sulle croci dell’ingiustizia, vittime di violenza? È a questo punto che scatta in noi il bisogno di sentirci uno con i missionari lontani, di entrare nella grande catena della solidarietà. Come una sola grande mano che riproduce nell’oggi la mano del Signore, aperta a tutti, nessuno escluso. La Giornata di animazione missionaria, da una parte ci fa scendere in profondità per scoprire noi stessi come un grande dono di Dio, da poter dire con il Salmo: Ti ringrazio, Signore, perché mi hai fatto come un miracolo! Dall’altra ci fa uscire da noi stessi per andare verso gli altri, e questo, come ci ricorda il Papa, è una gran bella cosa: uscire da noi stessi per farci incontro agli altri ci fa bene.
fr. Massimo Tedoldi