Un piccolo seme di dialogo interreligioso

Il percorso “Il Dialogo in cui Credo”, promosso dal nostro Centro missionario francescano e dall’Istituto Studi Ecumenici di Venezia, articolato in momenti formativi online e in laboratori esperienziali ha visto, nella giornata di sabato 10 febbraio, la partecipazione di frati e laici, attivi nell’accoglienza sociale, culturale e religiosa delle persone migranti, incontrare la Comunità Islamica di Marghera -Venezia.

Nel mosaico di religioni presenti in Italia, l’Islam si differenzia per il contenuto monoteistico della fede e per i suoi “cinque pilastri “base della forza identitaria per ogni fedele. Da secoli, con la loro presenza questi costituiscono il soggetto religioso con cui noi cristiani dobbiamo confrontarci. Confronto dai molteplici caratteri: religiosi, culturali, sociali, politici che lungo la storia spesso è sfociato in violenze e in guerre, non ultimi il ripetersi di episodi di intolleranza e di terrorismo.

L’incontro è stato preceduto da momenti di riflessione tra i rappresentanti della Comunità Islamica e noi frati dove è emersa, da ambo le parti, la necessità di approfondire la conoscenza reciproca, di valutare l’opportunità della iniziativa, di definirne il contenuto, la finalità e la modalità dell’appuntamento.

Insieme abbiamo riconosciuto il punto di partenza del nostro dialogare nella Dichiarazione di Abu Dhabi (2019). Il Documento sulla Fratellanza Universale recita: “Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature…, il credente è portato a esprimere questa fratellanza umana salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere”.                                                                 Negli stessi mesi l’intero gruppo dei partecipanti si è preparato attraverso un laboratorio, sperimentando nel concreto gli aspetti pratici della comunicazione con persone diverse dalla propria cultura, e nell’esercitarsi per il superamento dei pregiudizi, nel rispetto delle differenze e nella preparazione delle domande da porsi.

Siamo stati accolti all’interno di un ex fabbrica di un grigio quartiere periferico della zona industriale di Marghera, spazio riadattato a sala preghiera, con il pavimento ricoperto di tappeti, scarsi gli arredi. Ci siamo accomodati in una sala capiente per una trentina di persone, presenti l’Imam (la guida religiosa della Comunità), il vicepresidente della Comunità ed un ex presidente che ha svolto il ruolo di interprete, la decana delle donne ed altre persone, uomini e donne.

L’Imam, originario dalla Siria, ha introdotto il suo saluto ricordando che la storia registra molte testimonianze di incontri tra comunità cristiane e musulmane, promosse con iniziative da entrambe le parti. Ne ha sottolineato l’importanza e ha riconosciuto che se la sua comunità ha potuto inserirsi nel quartiere, risolvendo i problemi che in altri luoghi hanno creato tensioni e incomprensioni lo si deve all’accoglienza che il parroco e la comunità cattolica hanno promosso a loro favore.

La Comunità islamica, che raccoglie fedeli provenienti da più di 20 paesi, con lingua e abitudini diverse, è impegnata in un costante dialogo interno e si va chiedendo come meglio inserirsi nel tessuto culturale locale. Con soddisfazione viene citato ad esempio, l’adesione da parte di alcuni alla campagna per il reclutamento di nuovi donatori del sangue, fatto che diventa un’affermazione concreta di come la comunità si senta parte viva della società in cui abita e lavora; in sé è già un messaggio.

Una voce dalla cassa del microfono inizia un canto in lingua araba interrompendo il dialogo: è l’invito alla preghiera che ogni buon musulmano rivolge a Dio cinque volte al giorno, individualmente o comunitariamente. Ci spiegano quello che accade. Gli uomini si alzano si raccolgono in preghiera: alla voce accompagnano la gestualità di tutto il corpo, mentre le donne si ritirano dietro ad un paravento. Dopo alcuni minuti, si riprende l’incontro. L’atmosfera si fa ancora più familiare quando alcune donne servono un ottimo tè alla menta con dolcetti, nel mentre una bimbetta di poco più di un anno, dagli occhioni scuri e dai passi ancora incerti, si stacca dalle braccia della mamma, arriva a babà e gli chiede un bacetto. Scopriamo che è la figlia dell’Imam. Che bello! Naturalmente Safa (Sophie) non si è accontentata di un solo abbraccio.

Arriva il momento in cui porgiamo le domande che insieme abbiamo preparato, ognuno la fa su un argomento specifico, ne riporto alcune:   

Come è stato il vostro inserimento nella comunità civile di Marghera?          Come immaginate un futuro insieme fra Islam e le altre religioni presenti nella vostra città?                                                                                                 Quale ruolo ha la donna nella comunità islamica? È cambiato nel tempo? Come è la vostra preghiera personale e comunitaria?

Mi accorgo che tutte le nostre domande si muovono dalla visione della nostra cultura più laica che religiosa, mentre le risposte dell’Iman si muovano da sure del Corano o dal loro vissuto religioso.                                                                                                                    La modalità mi porta a ricordare che l’Islam si presenta come una ortoprassi, cioè una religione che si distingue nel “fare alcune cose” e “nel farle in un certo modo”. Dall’incontro percepisco che i musulmani credono e ritengono di essere profondamente nella verità, sento la loro sicurezza che li porta a testimoniare con forza la loro fede. Si mettono alla presenza di Dio e a Lui sono sottomessi.

Pur percependo che su alcuni punti siamo distanti, il dialogare è stato impegnativo e al tempo stesso piacevole, segno di ascolto delle posizioni dell’altro e ci siamo salutati dicendo: “speriamo di rivederci”. Anche i messaggi che ci siamo scambiati ad alcuni giorni di distanza, in quelli ricevuti dall’Imam e dal Presidente della Comunità, si manifestano in modo forte l’intenzione di adoprarsi per costruire una società che crede nel dialogo e considera l’altro come un fratello. Se ci sarà un altro incontro ci sarà l’esigenza di viverlo ad un livello più profondo e tutto questo presuppone un cammino personale e comunitario

Il dialogo tra persone che cercano Dio percorrendo strade diverse, cioè appartenenti a fedi differenti, richiede uno stato d’animo purificato e pacificato. La presenza e l’opera dello Spirito di Dio richiamano all’assenso e alla collaborazione. Il Signore è ovviamente esigente per entrambi gli interlocutori, singoli o comunitari. Quello religioso non è un processo che muove da un’ideologia o dalla ricerca di accaparrarsi vantaggi e privilegi, bensì dalla gioia che il fedele vive nel relazionarsi con Dio e con l’altro, che nonostante la diversa professione di fede in Dio, è riconosciuto fratello o sorella.

                                                                                                                                     fr. Guido Ravaglia