Il “decalogo” del giovane missionario

Nel periodo che annuncia l’estate studenti, lavoratori, tutti pensano alla pausa estiva, come momento di riposo e particolari esperienze. Tra queste esperienze, si affaccia anche la possibilità di “partire in missione”, ma cosa concretamente significa?                   In effetti, non pochi giovani spingono il loro sguardo un po’ più lontano dei loro luoghi di
vita abituali e si sentono attirati dalla possibilità di conoscere altri popoli e culture; questo desiderio, che non è solo vocazione al turismo, si accompagna con una grande disponibilità a mettersi a servizio di persone che vivono in situazioni anche molto difficili, certamente in Paesi dove il livello di vita non è neanche lontanamente paragonabile al
nostro. Ma “partire in missione” non è qualcosa che si improvvisa, pur avendone il desiderio; perché un’esperienza così forte sia svolta nel modo giusto, si richiede una seria preparazione e anche delle avvertenze particolari. Ecco perché, ormai da anni, il nostro Centro Missionario Francescano accompagna in un itinerario di
formazione alla missione decine di giovani (e meno giovani) che soprattutto nel periodo estivo vivono in gruppo un’esperienza “sul campo”.                                                                      Vi propongo allora, in forma di “decalogo”, qualche piccola avvertenza da tenere presente e qualche consiglio su come disporsi a vivere l’esperienza della missione nella prospettiva di una crescita personale. 

1

La gente che incontrerai nel tuo viaggio missionario esisteva prima di te (anche se magari con molta fatica) ed esisterà (si spera) anche dopo che tu te ne sarai tornato/a a casa tua. L’esperienza in missione non ha in
genere l’obiettivo di cambiare le cose che si trovano nei Paesi che visitiamo, ma di cambiare almeno un poco il cuore di chi è venuto e che dovrebbe rientrare in Italia con occhi nuovi e uno stile di vita modificato.

2

Prima di preoccuparti di cosa vai a fare laggiù, fai del tuo meglio per conoscere le persone con cui sarai nel viaggio. L’esperienza in missione è prima di tutto una forte esperienza di vita comunitaria; al primo posto ci sono le relazioni all’interno del gruppo che parte dall’Italia e poi anche le amicizie che si costruiranno nei tanti incontri sulla strada. Altra cosa: sei in un gruppo, significa che se anche hai delle idee brillantissime, almeno confrontati prima con il responsabile.

3

Ogni cultura è piena di sapienza e di ricchezze particolari, anche se a volte non subito evidenti. Un basso livello tecnologico non significa una scarsa conoscenza del vivere. Una delle scoperte più entusiasmanti, direi il “dono” che si riceve in missione, è poter cogliere i tantissimi aspetti diversi di una cultura lontana dalla nostra e imparare, mettendo in discussione quello che a noi sembra ovvio. A volte non è solo il risultato o l’efficacia che conta.

4

Anche se sei affezionato alle lasagne, prova almeno una volta a mangiare il piatto del luogo. In altre parole, cerca di gustare ciò che una tradizione alimentare diversa ha da proporti, forse non incontrerà proprio il tuo gusto,
ma ti farà capire qualcosa di più di chi te lo offre, dato che molto spesso il mangiare non è solo riempire la pancia, ma è un rito, una forma di alleanza, una condivisione di vita. Godi della bellezza di essere “ospite” in casa altrui.

5

Attenzione ai regali! Certo che è bello regalare la tua T-shirt al bambino con cui hai giocato (e magari ti fai pure il selfie con lui), ma ricorda che ci sono anche gli altri 99 bambini del villaggio. In generale, non significa bloccare i
gesti di affetto o di generosità soprattutto verso i piccoli, ma fare attenzione a non creare rapporti “privilegiati” che generano poi qualche illusione nelle persone. Non è sbagliato scambiarsi i contatti facebook, ma guarda di non promettere, anche solo implicitamente, cose che poi non manterrai…

6

Impara almeno a salutare, non fare il piccolo colonialista culturale.  Nessuna lingua, anche la più astrusa è così difficile da non poter imparare almeno       dei semplici saluti e qualche frase di cortesia o qualche proverbio:                            è divertente e fa molto piacere a chi vede che almeno hai fatto un piccolo sforzo per andare incontro all’altro. Magari oltre che insegnare i bans in  italiano puoi imparare tu una loro filastrocca!

7

Non vivere coi piedi in missione e la testa in Italia. Ok le foto, ma una volta che mamma è rassicurata, che a casa sanno che stai bene e non ti ha mangiato il coccodrillo, non mandare continui whatsapp a tutti i tuoi contatti in Italia: avrai tempo quando sarai tornato per raccontare.

8

Sai perché Dio ci ha fatto 2 orecchie e 1 bocca? (Vedi anche il punto 3). Ascolta molto e non dire subito tutto quello che trovi storto o da migliorare; la verifica va fatta assolutamente,  ma verso la fine e le tue osservazioni possono aiutare molto chi ha guidato l’esperienza, ma non essere precipitoso nel criticare. 

9

Prega. Anche se non ti definisci credente, quasi certamente incontrerai persone e popoli che hanno una loro spiritualità, spesso molto profonda. Lasciati non convertire, ma interrogare: cogli l’occasione di dare spazio a questa dimensione umana che ti abita, proprio stimolato dall’incontro.

10

E dopo… la missione inizia! Quando rientri, prova a mettere in dialogo quanto hai visto e sperimentato con la “routine” della tua vita italiana; l’esperienza di missione sarà stata autentica se qualche tua abitudine di consumo, di uso del tempo, di modo di pensare ne risulta rinnovata.

***

Non garantisco che l’osservanza scrupolosa di questo decalogo immunizzi da tutti i rischi connessi alla missione sul campo: potrà comunque capitare di prendere una bella gastroenterite e/o una pulce penetrante, come anche una più banale insolazione. Ma questi piccoli effetti collaterali non devono scoraggiare dal buttarsi con tutto il cuore nell’avventura più bella e affascinante: incontrare altre persone, lontane geograficamente e culturalmente, ma molto vicine per quello che sentono, desiderano, amano.

                                                                                                                                    fr. Pietro Pagliarini