Riportiamo l’intervista con Monsignor Giorgio Bertin – frate della nostra Provincia – attuale amministratore apostolico di Mogadiscio e vescovo di Gibuti, in relazione alla drammatica situazione in cui versa la Somalia e che richiede un intervento deciso per aiutare la popolazione.
Lo scenario della Somalia è quello di uno Stato dove siccità, insicurezza e carestia colpiscono gran parte della popolazione, soprattutto i più vulnerabili e tra questi i minori. Ogni singolo minuto di ogni singolo giorno, un bambino viene ricoverato in una struttura sanitaria per il trattamento della malnutrizione acuta grave.
Quello della carestia è “un dramma ricorrente in Somalia”, spiega monsignor Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio e vescovo di Gibuti.
L’accesso nel Paese per incontrare le persone più vulnerabili, aggiunge il presule, è continuamente ostacolato dal terrorismo e dalle minacce agli operatori umanitari e alle agenzie della comunità internazionale.
Nell’intervista rilasciata a Vatican News monsignor Giorgio Bertin ricorda, innanzitutto, la visita a Mogadiscio, insieme con la direttrice di Caritas Somalia e con il nunzio apostolico monsignor Antoine Camilleri per incontrare le realtà locali e l’incaricato speciale del presidente della Repubblica Federale Somala. “La situazione si è rivelata ancora più disastrosa di quanto pensassimo”..
Un dramma “ricorrente in questo Paese”: “ogni 8, 10 anni – spiega monsignor Bertin – abbiamo delle crisi legate alla siccità e quindi alla carestia”. È impressionante il fatto che ci si trovi di fronte ad “una situazione così disperata per molte persone, soprattutto per i più poveri, i più fragili”. E tra i più vulnerabili ci sono i bambini.
Una situazione determinata dalla siccità, ma anche da altri fattori: le istituzioni statali, che stanno rinascendo, “non sono ancora in grado di affrontare” questa piaga.
A questo si aggiunge l’azione, da parte di fondamentalisti islamici, contro le istituzioni statali attuali: gruppi, come Al Shabaab, “rendono la vita estremamente difficile ai cittadini somali ma anche a coloro che vorrebbero dare una risposta fornendo un aiuto alla gente”.
La popolazione, sottolinea monsignor Bertin, cerca rifugio nelle città più grandi, governate o dall’esecutivo federale o da governi locali.
Si formano quindi diversi campi per sfollati e, in alcuni di questi, possono accedere autorità locali, agenzie della comunità internazionale, varie organizzazioni umanitarie e le Caritas. Ma la situazione nel Paese è in generale molto instabile: “per incontrare le persone più colpite dalla carestia dovremmo spostarci con un piccolo esercito; allora siamo costretti ad affidarci a mediazioni locali”. “Siamo obbligati ad essere come dei medici da remoto”, che intervengono a distanza. “Andando a Mogadiscio, – conclude monsignor Bertin, – siamo rimasti nella zona aeroportuale e, grazie alla scorta che ci è stata fornita, siamo riusciti ad incontrare alcune persone”. “Chi è straniero, però, attira gli sguardi di coloro che non vogliono l’intervento da parte della comunità internazionale”.
Oppure si vede l’intervento, da parte degli agenti umanitari, come “un’opportunità per arricchirsi o per indebolire ulteriormente, le istituzioni statali che stanno rinascendo”.
L’appello è di quelli che scarnifica le coscienze: se in Somalia non si interviene subito e non si investe di più, ci si troverà di fronte alla morte di bambini su una scala che non si vedeva da 50 anni.
L’orrore raccontato dall’Unicef questa settimana in conferenza stampa è di quelli che non accettano scuse, né obiezioni. I bimbi gravemente malnutriti hanno probabilità fino ad 11 volte maggiore di morire di diarrea e morbillo rispetto a bambini ben nutriti.
La Somalia è sull’orlo di una tragedia che non si vedeva da decenni e questa drammatica statistica è solo la punta di un iceberg che include tutti quei bimbi che mai riusciranno a raggiungere l’aiuto di cui necessitano.
L’Unicef fa quello che può tra distribuzione di cure, di cibo e di acqua potabile, ma i problemi di finanziamento restano e di fronte a sé il Paese ha per la quinta volta consecutiva, il fallimento della stagione delle piogge con una conseguente siccità senza precedenti, la peggiore degli ultimi 40 anni, che sta colpendo circa 8 milioni di persone e con lo spettro davanti di una carestia ormai alle porte se l’assistenza umanitaria non dovesse arrivare entro i prossimi mesi.