Una settimana con persone migranti

All’esperienza di servizio e di condivisione (8-14 agosto 2022) hanno partecipato: Gabriele, Laetitia, Samantha (tutti “ventenni”, provenienti dall’esperienza in mensa S. Bernardino Verona 2021), Matteo e Marta (di Novi Ligure in viaggio di nozze).  

Due i gruppi etnici presenti nella casa dei Salesiani di Castel de’ Britti (S. Lazzaro – Bologna) gestita ora dal gruppo di laici salesiani (Cooperativa sociale Do Mani):

  • Una quindicina di giovani eritrei giunti in date diverse attraverso i corridoi umanitari della S. Egidio che hanno accettato il progetto di accoglienza-accompagnamento al lavoro e all’autosufficienza loro proposto.
  • Il gruppo delle donne ucraine, con figli di età da alcuni mesi a 16-17 anni, rifugiate momentaneamente in Italia a causa della guerra. 

Gabriele

Quando fra Guido a dicembre mi propose questa iniziativa, mi riempii di entusiasmo. Pensando a quanto avevo vissuto l’anno scorso nella mensa dei poveri presso il convento di S. Bernardino a Verona, questa nuova opportunità la vedevo come un passo in avanti verso il sogno di partire per una missione in Africa. Nella mia euforia però era evidente un briciolo di egoismo: c’è sempre la buona intenzione verso chi è meno fortunato, ma allo stesso tempo a volte considero il volontariato legato ai migranti come una sorta di carriera personale: cerco di fare passi in avanti verso servizi sempre più impegnativi e verso luoghi sempre più di interesse migratorio. Nel far ciò però si può rischiare di sentirsi bravi, quasi degli eroi perdendo quindi il vero senso del servizio. Durante questa settimana di volontariato ho imparato a guardare con occhi diversi colui che è nel bisogno. Attraverso lo sguardo espressivo dei bambini ucraini non mi è stato difficile comprendere cosa provassero; loro sanno esprimersi meglio di chiunque altro, se non con parole, con gesti, espressioni, azioni. Mi hanno fatto capire cosa significhi la guerra, cosa significhi abbandonare padri, fratelli piu grandi e parenti nella speranza di rivederli un giorno lontano. Ho toccato con mano quanto sia terribile dover lasciare la propria casa, il proprio paese, i propri amici per tenersi stretto l’ultimo diritto loro rimasto: la vita. Oltre che con gli immigrati ucraini abbiamo vissuto pure con ragazzi eritrei, anche loro fuggiti dal proprio paese a causa della feroce dittatura che li governava, alla ricerca di un futuro altrimenti a loro negato per crudeltà e sete di potere di un solo uomo.

L’Eritrea, come altri stati dell’Africa, è territorio ormai dimenticato da un mondo troppo preso dai propri interessi e perciò incapace di allungare la mano verso il prossimo. È assurdo come le persone, pur vivendo in un paese sviluppato come l’Italia, sprechino gran parte delle loro parole per lamentarsi di quello che non hanno, senza pensare a quanto fortunati si è a vivere in una repubblica democratica fondata sul lavoro, in un paese che offre innumerevoli servizi al cittadino.

Qualche anno fa ho avuto il piacere di ascoltare la testimonianza di una suora missionaria in Africa la quale diceva che ogni volta che rientrava in Italia provava incredulità per come possa esserci nel mondo tanta ricchezza e povertà allo stesso tempo. Concludendo l’esperienza a Bologna mi ha permesso di immedesimarmi in queste persone: la mensa dell’anno scorso mi ha offerto la possibilità di compiere un semplice servizio a fin di bene, con questa missione invece ho avuto la concreta opportunità di parlare con i bisognosi, di abbracciarli, di donare loro, con piccoli gesti, la cosa di cui più hanno bisogno: l’amore. Ho capito cosa vuol dire essere volontario.

Laetitia

Sguardi persi, gesti vuoti, movimenti incerti. Questa è stata la mia prima impressione alla vista di quelle madri, in primis donne, ucraine. Non era quello che mi aspettavo alla partenza.

Corpi senz’anima. Quasi involucri privi di vita. O almeno è quello che sembravano. Erano invece grida di dolore. Sofferenze vissute intimamente, senza condividerle col mondo esterno. Anzi era come se per loro non esistesse più un mondo fuori.

C’erano loro e la loro interiorità che tuttavia, inconsciamente, traspariva anche a noi. Erano urla d’aiuto non espresse a parole, ma con sguardi, gesti e corpi. Una vita vissuta dentro, o forse in stand-by. E i bimbi? La loro reazione sembrava opposta. Reagivano, volevano vivere. Ricercavano affetto in ogni modo e occasione, con qualsiasi espediente, chi con un abbraccio, chi con una frase, chi arrabbiandosi. Era fame d’amore. Cristina, una bimba di 10 anni, cercava disperatamente attenzioni. Ad esempio, quando rispondeva sempre prima degli altri compagni durante lo svolgimento dei compiti estivi; quando si offendeva se si cercava di coinvolgere tutti e non sono lei; quando nascondeva o prendeva i nostri oggetti affinché li cercassimo. Insieme abbiamo condiviso momenti unici che rimarranno in noi, e spero anche in loro. I bambini mi hanno lasciata entrare nelle loro vite; le mamme hanno mantenuto la distanza, probabilmente per non provare emozioni, in quanto già piene delle loro. Ma perché vivere così? E mille domande mi sono subito sorte.

Marta e Matteo

La settimana missionaria presso il centro di Castel de Britti è nata dal desiderio di dedicare del tempo al volontariato e alla riflessione durante quello che è comunemente chiamato il “viaggio di Nozze”. Siamo partiti da novelli sposi con entusiasmo e voglia di mettersi in gioco e ci siamo trovati a far parte di un bel gruppo in cui si è fin da subito instaurato un rapporto di intesa, collaborazione e divertimento. Il gruppo era costituito da volontari di diverse età, provenienze e interessi, ma sotto la direzione del mitico fra Guido ci siamo subito sentiti un gruppo di amici. Presso il centro ci siamo trovati di fronte a culture ben lontane dalle nostre e a storie di sofferenza a cui non avevamo mai associato un volto e un nome prima d’ora. Io mi sono principalmente dedicata all’insegnamento della lingua italiana e sono rimasta davvero colpita dalla voglia di imparare di alcune delle donne ucraine e sono stata felice di aver strappato loro qualche sorriso e ora di svago. Matteo si è invece principalmente dedicato al gioco con alcuni bambini, soprattutto con il caro Anton, che vedeva in Matteo la figura del fratello maggiore che è dovuto rimanere in Ucraina. Insieme, ci siamo invece dedicati a ordinare il magazzino, preparare il risotto, lavare il passeggino del piccolo Alexis, accompagnare i bambini nelle nostre passeggiate di gruppo e farli giocare e divertire. Prima di partire pensavamo a chissà quali attività e impegni particolari avremmo avuto e in realtà ci siamo trovati a svolgere attività di routine di famiglia: bell’inizio di vita insieme per una coppia di giovani sposi! Il tutto è stato accompagnato dai momenti di riflessione e preghiera e le Letture della settimana sembravano scritte apposta per una coppia di giovai sposi! È stata una bellissima esperienza e guardando le foto delle affettuosissime gemelline viene subito un po’ di nostalgia e voglia di tornare.

GRAZIE di cuore a chi ci ha accompagnato in questa esperienza, per noi importante significativa e davvero arricchente.

Samantha

La settimana trascorsa in questa residenza è stata unica, in quanto io e gli altri abbiamo avuto modo di immergerci nella quotidianità di alcune famiglie ucraine e di alcuni ragazzi eritrei. L’amarezza e la tristezza trasparivano in modo chiaro dai volti di alcune madri, mentre altre cercavano di nasconderlo, riempiendo il proprio tempo di faccende domestiche e altre attività legate alla casa. Gli adolescenti preferivano la solitudine nelle proprie stanze, poiché attratti solo dai giochi e dai video degli smartphones o dei tablet. Anche certi bambini erano molto presi da questi strumenti elettronici, tanto da rimanerne attaccati tutto il giorno. Solo pochi di loro erano disposti a scendere da quelle scale che dividevano le camere dal giardino, così grande e verde che molti avrebbero pagato per averlo. Proprio coloro che scendevano erano i colori che emergevano da quel silenzio e tristezza che aleggiava tra la maggior parte degli adulti e degli adolescenti.

Per quanto riguarda gli eritrei, questi erano persone molto socievoli, le quali erano scappate dal proprio paese d’origine, dominato da una dittatura sanguinaria. Stavano cercando di rifarsi una nuova vita, attraverso lo studio e il lavoro, garantito dalla cooperativa “Do Mani”. Grazie alla testimonianza di uno di loro, abbiamo appreso molte cose riguardanti la loro situazione drammatica in Eritrea, infatti abbiamo scoperto che è difficile scappare da questo paese, e provarci significa rischiare la vita; bisogna tenere presente che alcune famiglie sono rimaste lì e pretendono di essere mantenute da coloro che sono riusciti ad andarsene, ma questo non è per niente facile, soprattutto se si tratta di ragazzi minorenni, non ancora in grado di lavorare in Italia. Chiaramente questo è solo un assaggio di quello che ci è stato testimoniato, a tal fine consiglio sempre di chiedere informazioni a chi vive direttamente certe esperienze e di non basarsi solo sulla televisione o la radio, che ci propinano molte volte informazioni inconsistenti, che non fanno emergere alcun sentimento nei nostri cuori. Prima mi sentivo uno spettatore passivo, che non riusciva a capire fino in fondo ciò che provavano queste persone, durante l’esperienza invece, sono riuscita nel mio piccolo a fare qualcosa per loro e a capirli maggiormente. Sostengo che aiutare gli altri ci aiuti a far emergere la nostra compassione, la nostra empatia, il nostro amore per il prossimo, che sono i sentimenti chiave della nostra umanità.

Consiglio perciò a tutti di fare esperienze di questo tipo, soprattutto a coloro che si sentono in un periodo “freddo” e “difficile”, in modo da riscoprire delle parti importanti di sé.