Il che cosa e la finalità
Sono un canale che consente ai profughi di arrivare legalmente in Italia. I promotori si prefiggono di ridurre il traffico di esseri umani, di consentire alle autorità del paese che accoglie la possibilità di controllare il possesso dei requisiti di ingresso, di evitare morti in mare o per altre vie, di accompagnare l’inserimento del rifugiato nel contesto sociale che lo ha accolto. In Italia sono attivi dal 2016 su iniziativa e ad opera di enti privati, quasi sempre di ispirazione religiosa cristiana: Comunità S. Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Tavola Valdese, Caritas Italiana. È uno strumento di ingresso legale riconosciuto ed autorizzato dal nostro Governo; le persone per poter rimanere dovranno poi chiedere al nostro governo la protezione internazionale.
La presa di coscienza che chi lascia la propria patria, costretto da fattori che ne limitano la sopravvivenza o la libertà, deve sottoporsi ad esborsi ingenti di denaro, a condizioni di viaggio umilianti, drammatiche fino alla perdita della vita; la permanenza nei luoghi di transito totalmente inadatti all’ospitalità, ha mosso la volontà di creare una via legale e sicura che consente ad una persona di passare dal proprio paese, o dal luogo di prima accoglienza, che è già fuori dalla patria di nascita all’Italia. Esistono accordi previ tra i promotori del corridoio umanitario e i Governi interessati, quello del paese che ospita nei campi profughi da cui partono i richiedenti asilo e quello che li accoglie.
L’Iter: viaggio e burocrazia
L’ente promotore, dopo previo colloquio e valutazione dei candidati, presenta la richiesta del “visto di ingresso per motivi umanitari” all’Ambasciata di competenza che lo rilascia. Il documento consente il regolare imbarco e viaggio. Arrivati all’aeroporto di Fiumicino, dopo riconoscimento e il disbrigo di tutte le pratiche di legge il “richiedente asilo” deposita la domanda per essere riconosciuto “rifugiato politico”.
Si prende atto che l’iter burocratico non prevede l’ottenimento immediato dello stato di “rifugiato politico”, ma l’accordo tra Governo Italiano e l’ente promotore del Corridoio umanitario fa sì che la risposta arrivi entro i sei mesi. È un tempo breve se confrontato con coloro che lo chiedono dopo essere arrivati con i barconi o percorrendo la rotta dei Balcani, per costoro l’attesa va da uno a due anni. Di fatto il Ministero degli Interni si fida della presentazione che l’ente promotore fa di ogni richiedente, fino ad ora il 100% ha ottenuto il riconoscimento richiesto.
I primi passi in Italia
I mesi che intercorrono tra la domanda e l’ottenimento dello stato di “rifugiato politico” sono trascorsi dal migrante presso enti privati, cooperative, parrocchie, singole famiglie che gratuitamente offrono vitto e alloggio (La Caritas italiana contribuisce a sostenere parte delle spese vive). Anche i percorsi scolastici per l’apprendimento della lingua italiana e la formazione lavorativa sono a carico dei privati.
Tutto il percorso sia quello precedente la partenza dal campo profughi a quanto è proposto sul nostro territorio è articolato secondo un progetto che i migranti accettano e sottoscrivono prima della loro partenza. Il percorso si conclude quando il rifugiato politico ormai indipendente trova lavoro e un appartamento dove abitare. Il contratto prevede un tempo di un anno.
La meta sembra vicina, quasi mai di facile accesso
Proprio questo ultimi passaggi sono quelli più difficili di tutto l’inserimento, in specifico per il costo degli affitti e per la poca disponibilità dei proprietari italiani locare a stranieri, in particolare le persone dalla pelle nera. Se tra coloro che mi leggono c’è qualcuno che potrebbe farlo si disponga ad essere mano della Provvidenza.
Il Corridoio Umanitario si realizza a motivo delle relazioni umane di fiducia e di stima che nascono e che crescano giorno dopo giorno. Lo spirito per affittare un appartamento a dei rifugiati politici germoglia e si alimenta se si incontrano gli operatori di un ente promotore, se si frequentano i luoghi dove i profughi alloggiano per iniziare ad incontrali con lo sguardo. Presso il centro ci si trova di fronte a persone di culture ben lontane dalle nostre e a storie di sofferenza a cui possiamo finalmente associare un volto e un nome. Il rifugiato non è più un numero, è una persona con una sua storia che sta lottando per costruirsi un futuro.
Selezione o scelta di un progetto da parte di coloro che vivono nei campi di raccolta profughi?
Il passaggio della presentazione del progetto, da parte dell’ente promotore a coloro che si dicono interessati, e la decisione degli stessi sono momenti delicati e complessi che possono richiedere non solo settimane, anche mesi. Vi è un criterio che guida l’ente promotore che nel caso italiano combacia con le indicazioni del nostro Governo: la priorità è data a coloro che si trovano in una situazione di vulnerabilità, come minori di età, donne sole con figli, pericolo di vita per motivi religiosi o politici e ricongiungimenti familiari. A coloro che sono ridotti nei campi profughi, veri villaggi o addirittura città a volte con decine di migliaia di persone, viene presentato il progetto: dal viaggio, al paese di destinazione, all’inserimento con percorsi di formazione e i possibili lavori a cui saranno indirizzati, al costo della vita con cui dovranno fare i conti una volta in Italia. Su queste proposte i richiedenti asilo fanno le loro scelte. È risaputo che una larga percentuale di loro preferisce progetti con destinazione Canada o Stati Uniti, piuttosto che la nostra Italia.
Gli operatori della S. Egidio e degli enti a lei consociati che si recano presso i centri di raccolta profughi devono essere abili interpreti culturali, riuscire a capire, mettendosi nei loro panni e dal loro punto di vista, dove per i richiedenti asilo sarà più facile integrarsi e quale progetto lavorativo risulterà più adatto.
Il Corridoio umanitario nasce e vive dentro le relazioni umane
Consideriamo che coloro che decidono di affidarsi al progetto del Corridoio umanitario, sono dispiaciuti di dovere fuggire dalla propria patria, lo fanno solo perché costretti a trovare un posto che offra sicurezza e libertà per vivere, ma nel cuore resterà una domanda: se le cose cambieranno potrò tornare a casa? Il Corridoio umanitario non è costituito solo da persone di diversa etnia e cultura che si frequentano per alcune settimane, ma dalle relazioni che umane nascono tra gli uni e gli altri e si regge in virtù dei legami di amicizia, di fiducia che si creano tra profughi e operatori. Il rifugiato politico necessiterà ancora a lungo di un riferimento personale tra coloro che lo hanno accolto e che sanno “tutto di lui” e che gli ha permesso di trovare la libertà
Attraverso i corridoi umanitari sono arrivati finora in Italia poche migliaia di persone. È un piccolo progetto che può fare sorridere. Sia come un volano che provoca altri a provarci e a fare propri i sentimenti e le motivazioni di coloro che lo hanno iniziato. Uno slogan del progetto recita: “con piccole gocce si può cambiare il mare”.
Sì le gocce per provocare un cambiamento sono necessarie come quello di aprire cantieri, per piccoli che siano permettono ai costruttori di pace di operare.
fr. Guido Ravaglia
- Foto presa dal sito: https://www.santegidio.org/