Era la domenica 15 giugno, due giorni dopo la festa di Sant’ Antonio, una grande festa per noi seminaristi di Chiampo perché ci vedeva protagonisti nei vari festeggiamenti in onore del nostro patrono, ma soprattutto segnava la fine dell’anno scolastico e l’inizio delle vacanze. Mentre tutti erano in attesa dei genitori per un sereno ritorno in famiglia, improvvisamente arriva un invito inconsueto da parte del padre assistente p. Liberio Fochesato: “tutti in cappella”. Avevano ucciso un nostro missionario.
Grande fu lo sconcerto e il dolore, eravamo legati ai nostri missionari tramite la corrispondenza che tenevamo abitualmente a natale e pasqua, un modo per far sentire la nostra vicinanza e l’affetto ai frati che lavoravano in prima linea. Tutto questo, oltre all’impegno nella preghiera ci faceva sognare un francescanesimo tutto donato al Signore e ai fratelli. Personalmente ho avuto e ho tutt’ora la fortuna di avere mio zio P. Ilario Contran allora superiore in El Salvador e di essere stato con P. Claudio Bratti, ora vice postulatore della causa dei santi, presso la tomba di padre Cosma.
Sante Spessotto nacque a Mansuè, in provincia di Treviso e diocesi di Vittorio Veneto, il 28 gennaio 1923, terzo di dieci figli. Ancora bambino partecipò, invitato dal suo parroco, a un incontro vocazionale, dal quale tornò determinato a diventare sacerdote, ma, a causa della scarsità di mezzi della sua famiglia, non entrò nel Seminario diocesano. Dopo aver conosciuto i Frati Minori durante una missione popolare al suo paese, chiese di entrare a farne parte. Il 25 settembre 1935 entrò quindi nel Seminario francescano di Lonigo e, con la vestizione, cambiò nome in fra Cosma. Professò i voti solenni il 19 marzo 1944, mentre il 27 giugno 1948 fu ordinato sacerdote. Già negli anni della formazione, padre Cosma si era appassionato alla vita delle missioni: al tempo, i Frati Minori veneti avevano due comunità in Cina, dove l’Ordine aveva anche avuto molti martiri nella rivolta dei Boxer, e seguivano un lebbrosario in Tibet.
Nel 1945 fra Cosma scrisse una prima volta al Ministro (superiore) provinciale, padre Modesto Bartoli, chiedendogli di inviarlo in Cina alla prima occasione possibile. Ma nella Cina di Mao-Tse-Tung, i missionari stranieri non avevano più posto, mentre i vescovi e i sacerdoti autoctoni venivano messi in carcere, perseguitati al pari dei loro fedeli.
Una nuova via si aprì comunque per padre Cosma quando monsignor Gian Maria Castellani, Nunzio Apostolico in El Salvador e religioso dei Frati Minori dell’Umbria, rendendosi conto delle conseguenze che le persecuzioni patite dalla Chiesa salvadoregna nel secolo precedente avevano lasciato nel popolo, suggerì ai vescovi di El Salvador e del Guatemala di fare ricorso alla Provincia Veneta del suo Ordine, molto ricca di vocazioni. Subito padre Cosma si rese disponibile: il 9 marzo 1950, con altri due confratelli, s’imbarcò da Genova, arrivando a El Salvador il 4 aprile, dopo ventisette giorni di navigazione.
Con l’arrivo nella nuova missione gli fu affidata la parrocchia di san Pietro a San Pedro Nonualco, nel dipartimento di La Paz e in diocesi di San Vicente, affinché imparasse la lingua. Nei tre anni che vi trascorse si rese disponibile a incontrare e ad ascoltare ogni persona, percorrendo lunghi tratti a piedi o a cavallo per raggiungere i vari villaggi. Dopo tre anni gli fu affidata una nuova parrocchia, quella di San Giovanni Battista a San Juan Nonualco, di cui divenne parroco nel 1957. In entrambe le destinazioni rafforzò la fede della comunità cristiana, avviando opere di promozione umana e difendendo i giovani e i poveri. Il 4 ottobre 1979 venne nominato vicario episcopale per il dipartimento di La Paz, mentre a marzo del 1980 divenne parroco di Santa Lucia a Zacatecoluca, ma il trasferimento non fu immediato, a causa di una malattia al fegato che lo portò in ospedale.
Durante la convalescenza, chiese di poter tornare temporaneamente a San Juan Nonualco per una Messa di suffragio. Nel pomeriggio del 14 giugno 1980, mentre, come suo solito, pregava davanti al Tabernacolo dopo la celebrazione, venne ucciso a colpi di mitragliatrice da sicari governativi.
Il racconto del padre assistente e poi le informazioni che arrivavano dai missionari, in modo particolare da mio zio padre Ilario Contran, allora superiore della missione in El Salvador, ha suscitato un grande interesse in noi seminaristi perché avevamo scoperto che Padre Cosma fin da fanciullo aveva lo stesso nostro sogno, la missione in terre lontane e il donare la vita per il Signore. Da allora ho sempre custodito in me il desiderio di conoscere sempre più la sua storia, la popolazione salvadoregna e il desiderio di vedere da vicino le opere, i missionari e la parrocchia di Padre Cosma e la sua tomba.
L’occasione l’ho presa al balzo, quando ho sentito il tanto desiderato annuncio dell’approvazione del decreto della Congregazione delle Cause dei Santi di papa Francesco dato alla chiesa il 27 maggio 2020.
Il mio desiderio coltivato fin da ragazzo seminarista si è così realizzato lo scorso 22 gennaio 2022 quando ho potuto partecipare alla Beatificazione di Padre Cosma Spessotto francescano, di Rutilio Grande sacerdote gesuita assieme a Nelson Lemus diciasettenne membro attivo della comunità cattolica di El Paisnal e il catechista padre di dieci figli Manuel Solorzano.
La cerimonia è stata preparata con molti eventi organizzati non solo a San Juan Nonualco, parrocchia del Padre Cosma, luogo del suo martirio e dove si conservano le sue spoglie, ma tutto il paese salvadoregno si è animato per questi quattro martiri con veglie di preghiera e sante messe di ringraziamento. Il venerdì 21, vigilia della beatificazione, ho partecipato alla Santa Messa a San Juan Nonualco, presieduta dal nostro vescovo Mons. Luigi Morao, il Vescovo di Vittorio Veneto Mons. Corrado Pizziolo, il Vescovo di Zacatecoluca Mons. Elias Samuel Bolanos Avelar con la presenza dei nipoti (e altri parenti) di padre Cosma. Commossa la partecipazione di numerosi fedeli.
Noi sacerdoti assistevamo alla cerimonia sul lato destro del presbiterio proprio sul luogo del martirio di Padre Cosma dove con commozione potevamo vedere i segni lasciati su una colonna dai proiettili che avevano ucciso il futuro beato. Eravamo proprio nel luogo del martirio, una grazia che non dimenticherò mai.
Il giorno dopo, nel primo pomeriggio, siamo andati alla piazza America, comunemente chiamata piazza del Salvatore del mondo. Un grande spazio creato da un grande incrocio in piena capitale nuova San Salvador dove si era già celebrato la canonizzazione di Monsignor Romero. Il clima, la gioia dei numerosissimi sacerdoti e dei padri gesuiti e la grande partecipazione dei frati della provincia Guadalupana, hanno offerto un’ottima occasione di ascoltare esperienze e aneddoti dei quattro martiri che di lì a poco sarebbero stati proclamati Beati.
La cerimonia è stata presieduta dal Cardinale Rosa Chàves, delegato del papa e da una grande schiera di vescovi e sacerdoti. Nonostante il problema Covid, i fedeli erano numerosissimi e tutti rispettosi delle norme sanitarie con mascherine e gel disinfettante. Molte le suggestioni della cerimonia, quasi impossibili da sintetizzare, dalla lettura in latino e poi in spagnolo della proclamazione dei beati alla presentazione della loro vita da parte dei postulatori delle cause dei Santi, dall’entrata solenne delle reliquie alle parole dell’omelia. Riporto alcune frasi che mi hanno colpito sia dell’omelia che di altre testimonianze raccolte in loco.
Il cardinale Rosa Chàves così ha esortato i fedeli presenti durante l’omelia del rito di proclamazione dei beati: “Siamo una Chiesa del martirio, ma siamo abbastanza passivi: non siamo pienamente consapevoli del tesoro che portiamo nei vasi di terracotta. I nostri martiri possono aiutarci a recuperare la memoria e la speranza per non rinunciare al sogno di un Paese riconciliato e pacifico, un Paese come quello che vuole il nostro Dio: giusto, fraterno e solidale”. Era il pensiero di padre Cosma di fronte a una acuta crisi politica del paese che degenerò in una guerra civile. Padre Cosma si era opposto all’occupazione della sua chiesa parrocchiale da parte dei guerriglieri e così pure richiamava i responsabili dell’esercito per tanti soprusi e violenze. Cercava in tutti i modi di proteggere i suoi catechisti e parrocchiani anche se avevano idee politiche diverse. Si sentiva sopra le parti e trattava indifferentemente sia con le persone che militavano a sinistra, sia con persone che appartenevano a gruppi di destra. Lui diceva: “Con queste mie mani io ho battezzato gli uni e gli altri”.
“Non si può discriminare una persona per le sue idee”. “La soluzione di tutti i problemi sta nel dialogo sincero”.
Tutti lo ricordano come una persona semplice, umile, ma forte nel difendere gli emarginati, i poveri e tutte le vittime di entrambi gli schieramenti. Da tutti considerato un grande protettore, un uomo di fede dal cuore grande e generoso verso tutti. Con la sua Jeep non esitava di portare alimenti a famiglie che si trovavano in luoghi pericolosi perché creduti della guerriglia, così pure difendeva i soldati quando venivano denigrati pubblicamente. Veramente si può dire che era un pieno difensore dei diritti umani e non solo di Cristo e della sua Chiesa. La casa parrocchiale e il convento si convertiva in un rifugio per molti catechisti e parrocchiani minacciati di morte o torturati. Cercava a tutti i costi di mantenere unito il paese e spesso nelle sue omelie insisteva nella riconciliazione e la pace tanto alla guerriglia che alla polizia dicendo: “Vi ho battezzato, perché dovete uccidervi a vicenda e farvi dei nemici l’uno con l’altro. Siete fratelli, siete dello stesso paese”. Per questo gli abitanti di San Juan Nonualco lo chiamano l’apostolo della carità, martire della riconciliazione e della pace. Un grande esempio di santità che spinge tutti a riconoscerne le virtù come esempio di santità da replicare attraverso il servizio agli altri. Il cardinale esortava poi a non deporre questo grande esempio su un altare, ma di accogliere la sua eredità e le sue opere per divenire tutti promotori di pace, riconciliazione, dialogo, unità vivendo il vangelo nella quotidianità.
fr. Adriano Contran