Le Olimpiadi dell’estate scorsa hanno riaperto il dibattito di avviare una riforma sulla legge della cittadinanza e sull’accoglienza di cittadini stranieri. I Giochi di Tokio hanno visto gareggiare sotto la nostra bandiera atleti provenienti dai cinque continenti: grazie a loro l’Italia ha portato a casa molte medaglie in più di quelle preventivate.
Ancora prima, durante il mese di luglio in occasione degli Europei di calcio, ragazzini dai tratti somatici multicolori gridavano come e con i nostri ai gol degli “azzurri” e correvano per le strade con le bandiere tricolore. La stampa e i social hanno dato ampio spazio a questo fenomeno. Sono esempi di un Italia plurale che cerca di sbocciare?
Rimaniamo in ambito sportivo, nello specifico quello di una squadra giovanile di pallacanestro della Campania, i fatti sono dello ottobre scorso.
La “Tam Tam Basket”, squadra di pallacanestro, è di fatto un laboratorio di inclusione per persone migranti ed italiani in una realtà sociale, quella di Castel Volturno (26.000 abitanti, provincia di Caserta) nella quale per i giovani il richiamo al narcotraffico e alla violenza si fa quotidiano.
La società sportiva tiene impegnati una quarantina di ragazzi in 3 pomeriggi di ogni settimana, più il weekend con la partita. I giovani arruolati nelle due squadre under 17 e under 19 raggiungono il centinaio di atleti, naturalmente tra costoro anche giocatori italiani. L’insieme costituisce una proposta di integrazione multietnica. La squadra under 19, di cui si parla, è costituita per lo più da immigrati di seconda generazione. Sono nati in Italia, parlano italiano, da sempre frequentano le scuole italiane, ma per legge sono extra comunitari. Pertanto non potranno fare come squadra il sospirato salto di categoria, passare dal campionato di basket regionale a quello nazionale “categoria eccellenza” che prevede solo due stranieri per team.
Questo accade a Castel Volturno, un piccolo pezzo di Africa dove i migranti sono il 15 % della popolazione locale. Antonelli, già giocatore nel campionato nazionale di serie A, con la Virtus Bologna e con la Basket Napoli ne è il presidente. Per cercare di andare al di là del divieto Antonelli invia una lettera al presidente della Federazione Pallacanestro per avere il placet di iscrizione al campionato di eccellenza e non solo a quello regionale. Si è così avviata una consultazione tra i vertici delle squadre iscritte al campionato nazionale di eccellenza, purtroppo le società interpellate non hanno espresso una “concorde adesione”. Quindi, a seguito dei pareri discordi nulla da fare per giovani non italiani nati in Italia a livello di basket nazionale. Sarebbe stata un’occasione di crescita, non solo sportiva.
Castel Volturno poteva essere indicata come esempio nel creare percorsi che facilitano la convivenza tra etnie diverse che di fatto hanno poi bisogno l’una dell’altra, un incentivo per contrastare l’adescamento dei giovani da parte della malavita e contrasto al narcotraffico.
Il commento a livello della società interessata può essere così riassunto: Si parla di “ius soli sportivo”, ma poi davanti ad una richiesta concreta si dice NO. Anziché creare un precedente a favore della modifica della legge di cittadinanza anche lo sport si tira indietro. Le squadre che non hanno dato il proprio assenso si saranno attenute in modo stretto al regolamento interno dei campionati di pallacanestro, ma hanno perso l’occasione di tendere ad un valore più grande, quello del bene comune per la realtà cittadina di Castel Volturno e quello di creare opinione pubblica a favore delle persone migranti.
Breve commento alla proposta del presidente del CONI, introduzione dello “ius soli sportivo”.
A seguito dei trionfi olimpici il presidente Malagò sottolineò le lunghe tempistiche e le innumerevoli difficoltà per acquisire la cittadinanza italiana da parte degli atleti che crescono, vivono e maturano professionalmente in Italia e si pronunciò pubblicamente a favore della estensione della cittadinanza italiana agli atleti delle diverse discipline sportive introducendo la novità dello “ius soli sportivo”. Se la proposta diventasse legge introdurrebbe un’ulteriore arbitrarietà: per non modificare l’attuale normativa, che prevede la possibilità di fare domanda, solo dopo il compimento del diciottesimo anno nell’ottemperanza di determinate condizioni, si riconoscerebbe al successo sportivo, che porta gloria all’Italia, maggior peso sociale e politico rispetto al contributo che ogni giorno danno lo studente, l’operaio, il docente, l’imprenditore alla nostra intera società e all’economia. Quanto descritto evidenzia che ci dibattiamo in un’ambiguità: da un lato siamo consapevoli di avere assunto una dimensione multietnica e culturale, di cui lo sport è solo un aspetto.
Al tempo stesso il nostro Paese cerca di arginare e rallentare i percorsi di integrazione e di inserimento, alcuni esempi lo confermano. In Italia ci sono più di 600 mila imprese (il 10% del totale) condotte da cittadini stranieri che rendono più ampio il mondo del lavoro e più alta la produzione. Ancora, secondo i dati INPS l’insieme delle colf, babysitter, assistenti familiari si avvicina al milione di persone, numero che non contiene coloro che lavorano in nero nelle nostre case. Vale a dire, un numero crescente di persone migranti, tra cui molti in età scolare, si trova ad essere nella nostra società, ma senza ricevere il riconoscimento di esserne parte viva. Il riconoscerne la cittadinanza italiana in tempi brevi sarebbe segno di vera democrazia, contrasterebbe la sfiducia nelle istituzioni e il sorgere di tensioni non controllabili.
Per un orizzonte pluralistico: puntare al bene comune.
L’etica cattolica l’ha in sé e negli anni passati ha seminato in abbondanza sia il seme della conversione, quindi della crescita personale, sia quello del sacrificio e della rinuncia per contribuire al bene comune. Tale valore andrebbe concepito e promosso come una componente dell’intera famiglia umana, letto ed interpretato non in maniera statica, ma nell’incessante evolversi delle situazioni. Il bene comune non è la conservazione di ciò che un gruppo, una società, possiede sia pure in comune, ma la tensione a mettere in comune i beni, frazionandoli per moltiplicarli. Così ché gli esclusi di oggi ne possano beneficiare da subito.
Fr. Guido Ravaglia
Foto Web – Avvenire