Migranti – Presa di Kabul e rifugiati politici

In Afghanistan, il cui territorio è perennemente afflitto dalla siccità e da più di trenta anni martoriato dalla guerra, alla fine del 2020 vivevano 38 o 39 milioni di abitanti (secondo altre fonti, 33 milioni). Sul totale della popolazione, circa 11 milioni subivano uno stato di emergenza alimentare e 5 milioni erano classificati “sfollati interni”, dipendenti dagli aiuti umanitari. I profughi censiti, usciti dal paese erano 5 milioni, di cui il 90% accolti in Pakistan ed Iran.

Negli ultimi 10 anni la UE ha registrato 700.000 domande di richiedenti asilo. La comunità afgana in Italia contava 15.000 persone, mille afgani sono sbarcati lo scorso anno in Italia, altrettanti quest’anno; alcuni sono stati accolti, molti di loro hanno continuato il viaggio in Europa. Altri sono stati respinti sulle montagne dei Balcani o nelle carceri libiche. Sono 5000 quelli arrivati con il ponte aereo dello scorso agosto a seguito della riconquista di Kabul da parte dei Talebani. È pensabile che a questi, quando i riflettori sull’Afghanistan si saranno spenti, se ne aggiungeranno altri.

A fronte di questo l’Unione Europea (UE), dimentica che ha una parte significativa di responsabilità per quanto accaduto nel paese, sta imboccando la strada del disimpegno.

I suoi Ministri degli Interni (31.08.21) hanno concordato la non accoglienza dei profughi afgani: “restino lì dove sono”, pagheremo gli stati confinanti per questo. In altre parole non saranno aperti i canali regolari per i richiedenti asilo, anche se previsti dagli accordi internazionali. Chiediamoci se possiamo supinamente accettare questa linea operativa. L’Europa si continua a definire in pericolo, in una situazione di perenne emergenza, ritiene di doversi proteggere da uomini e donne in fuga da guerre e da crisi umanitarie, di cui anche Lei, unitamente ad altri paesi Occidentali è responsabile. È anche dimentica che le condizioni di miseria, di mancata convivenza pacifica, come la perdita della libertà di un Paese, anche se lontano, sono un impoverimento per Lei e un danno a tutto il resto del mondo.

Noi ci sentiamo voce della Caritas, della Fondazione Migrantes, delle tante associazioni solidali di matrice laicale o cattolica, delle parrocchie, delle famiglie che già si sono attivate, per continuare a sostenere quanti a rischio della propria incolumità operano ancora come soccorso umanitario in Afghanistan e per creare una rete di accoglienza agli afgani che sono arrivati col ponte aereo. Su questo secondo punto intravediamo alcuni passaggi che ci sembrano necessari per riuscire a governare l’arrivo e l’inserimento dei profughi afgani.

L’impegno degli stati membri della UE dovrebbe declinarsi:

  • Partecipare al reinsediamento dei cittadini afgani verso il territorio dell’Unione, con particolare attenzione ai ricongiungimenti familiari, alle persone fragili, i minori non accompagnati;
  • Siano sospesi i respingimenti dalle autorità nazionali e dall’Agenzia per la Guardia di frontiera o costiera verso i paesi non UE (Turchia, Libia ed area balcanica);
  • Siano sospesi i dinieghi, i rimpatri, i respingimenti nei confronti degli afgani già in territorio dell’Unione o alle sue frontiere.

A livello nazionale servirebbe un piano di largo respiro per creare i data base di raccolta dati al fine di coordinare le disponibilità, le donazioni, le iniziative a favore dei profughi.

  • Pervenire ad un tavolo di coordinamento unitario sull’Afghanistan a cui partecipino i rappresentanti dei Ministeri interessati, le ONG, le Associazioni che operano nell’ambito dell’asilo, dell’immigrazione, le Regioni, gli Enti locali; detto tavolo sarebbe necessario anche a livello locale.
  • Ampliare il sistema pubblico di accoglienza, con finanziamento straordinario del SAI (Servizio Accoglienza Integrazione)
  • Ci sia la presa in carico per assicurare l’assistenza medica, psicologica, lo studio della lingua italiana; per i giovani la frequenza alla scuola.
  • Valorizzare la presenza dei cittadini afgani già collaboratori della Nato quando questa operava nel loro paese ed ora profughi presso di noi: hanno già imparato a conoscerci, potrebbero fungere da “mediatori” a favore dei loro connazionali che nulla sanno dell’Italia.

La crisi afgana, che ha come ricaduta sull’Europa l’arrivo di migliaia di profughi, costituisca l’occasione per affrontare il fenomeno migratorio con il cambiamento di passo che esso comporta, innanzi tutto esso chiede di essere riconosciuto e governato. Non è un fatto congiunturale, ignoralo o rimuoverlo è di fatto il permetterne la gestione agli scafisti e ai trafficanti di uomini. Proprio perché non si intravedono soluzioni definitive e la paura davanti all’ignoto è una cattiva consigliera occorre riprendere in mano le redini del nostro futuro e non lasciarsi trascinare passivamente dalla corrente senza il coraggio di ammetterlo. Occorre assumersi a livello di Chiesa e di società la responsabilità di relazionarsi con i profughi e gli immigrati con la gestione di un piano a lungo termine in quanto ogni processo di integrazione richiede diversi anni.   

 

Fr. Guido Ravaglia

 

N.b. I dati qui riportati sono stati ricavati da comunicati OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), dalla Fondazione Migranti, dal Centro Astalli.

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